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IL MUSEO DELL’OTTOCENTO A PESCARA

Il Museo dell’Ottocento a Pescara nasce grazie ad una visione, immaginata dai due proprietari, i coniugi Venceslao Di Persio e Rosanna Pallotta. Ogni angolo, quadro, scultura o cornice che incontrate all’interno del Museo è stato studiato e sistemato così per loro volontà. E, credetemi, nulla è lasciato al caso.

La scalinata dell’ingresso, progettata a ricordare la scalinata laurenziana di Michelangelo a Firenze, ci porta in una piccola biblioteca.
Questa raccoglie volumi che raccontano secoli di storia dell’arte ed è sovrastata da una gigantesca cornice lignea dorata creata, così sembra, dal Bernini.

L’ingresso, quadrangolare, con al centro un’acquasantiera, vuole riprodurre un tempio. Un edificio consacrato all’amore dei due coniugi per l’arte e per loro stessi. Per comprenderlo basta dare uno sguardo al soffitto per vedere due colombe che si scambiano uno sguardo appassionato ed infinito.

Il Museo espone una Collezione permanente, ovvero una raccolta di quadri aventi tra loro un elemento che li accomuna l’uno all’altro. Si viene a creare, così, un percorso storico culturale unico, non frammentario, che si sviluppa su tre piani, partendo da Napoli per arrivare in Francia.
Le opere sono state dipinte tutte tra la fine del ‘700 ed i primi del ‘900, così da spiegare meglio come si è evoluta l’arte in questo periodo storico, passando dal classicismo al realismo, fino a giungere all’impressionismo.

 

PIANO TERRA

La storia della Collezione Di Persio/Pallota inizia qui, con Carolina Bonaparte.

Tutto ebbe inizio nel 1808, con l’arrivo di Murat, Re di Napoli, e della sua Regina Consorte, Carolina Bonaparte, sorella dell’imperatore Napoleone. Con lei, l’arte napoletana subisce una svolta epocale. La nuova regina rimane incantata dai propri possedimenti e decide di mostrare al mondo la bellezza del suo nuovo regno. Chiama a corte, così, uno dei pittori paesaggisti più famosi dell’epoca, Joseph Rebell, e gli commissiona tredici Vedute di Napoli e dintorni.

La sua pittura è legata ancora alla realizzazione delle opere in bottega. Il suo modo di rappresentare la natura, tuttavia, ispirerà gli artisti appartenenti a quella che di lì a poco sarebbe divenuta la Scuola di Posillipo.

La Scuola di Posillipo
Museo dell'Ottocento
Convento dell’Immacolata di Vietri di F.L. Catel

La rappresentazione del paesaggio, così disprezzato dagli artisti neoclassici del tempo, ha qui una vera e propria esplosione di notorietà.
I Borboni, tornati con la restaurazione, incentiveranno la produzione di opere paesaggistiche, utilizzate come messaggi promozionali, mentre le stesse opere iniziarono ad essere apprezzate anche dagli inglesi e dai tedeschi.

La Scuola di Posillipo, quindi, nacque grazie ad un manipolo di artisti dediti esclusivamente alla pittura paesaggistica, ritrovatisi, nel secondo decennio dell’Ottocento, prima intorno alla figura di Anton Sminck van Pitloo e poi intorno a quella di Giacinto Gigante. Tra questi abbiamo Frans Vervloet e Alessandro La Volpe, oltre ad alcuni dei fratelli Palizzi ed a Camille Corot, rappresentante della futura Scuola di Barbizon.

Domenico Morelli

E se da un lato la rappresentazione paesaggistica napoletana è così apprezzata, dall’altra, l’arte napoletana figurativa trova un nuovo rappresentante in Domenico Morelli, docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli. Morelli fu un grande orientalista, ovvero un membro della corrente pittorica che dipingeva scene e personaggi ispirati al lontano medio oriente. Nella realtà, in Oriente, Morelli, non c’era mai stato, eppure le sue opere sono quanto mai veritiere ed originali.

 

PRIMO PIANO

Al primo piano c’è l’apoteosi dell’arte napoletana. Entrare in queste sale è come vedere esposti tutti i lavori degli studenti di Domenico Morelli in un solo luogo, così come quelle dei loro più stretti contemporanei, studenti di un altro famoso pittore abruzzese, Gabriele Smargiassi.
Con loro studiarono Antonio Mancini, Vincenzo Migliaro, Vincenzo Caprile, Francesco Paolo Michetti, Edoardo Dalbono e Filippo Palizzi, che ritroviamo in queste sale, assieme, ad esempio a Vincenzo Gemito, Michele Cammarano e Teofilo Patini.

Le sale, però, raccolgono le opere anche di una particolare corrente di artisti “antipartenopei”, ispirati dalla pittura di impulso. Artisti che dipingevano senza disegno preparatorio, studiando il colore e la luce, esponenti della Scuola di Resìna.

La Scuola di Resìna

Ad attenderci, in queste prime sale, troviamo diversi artisti della scuola di Resìna. Il nome trae origine dalla zona dove lavoravano maggiormente, ora inglobata nel territorio di Ercolano. Questi artisti appartenevano alle correnti del Realismo e del Verismo, con particolare attenzione anche quella dei macchiaioli (che potremmo definire gli antesignani degli impressionisti).
La corrente nasce intorno alle figure di Adriano Cecioni e di Giuseppe De Nittis, e si sviluppa attraverso le opere di Marco De Gregorio, Alceste Campriani, Nicola Palizzi e Antonino Leto.

ALCESTE CAMPRIANI E “ROVINE DI POMPEI”

Museo dell'Ottocento
Rovine di Pompei di Alceste Campriani

In questo spettacolare piano del museo dell’ottocento , troviamo tante cose meravigliose da guardare e scoprire. Vi racconterò, tuttavia, solo due curiosità che ci sono state narrate dalla guida.

Tra le tante opere note, due piccoli quadretti spiccano per la loro storia alquanto singolare. Uno di questi è “Rovine di Pompei” di Alceste Campriani.

Grande amico di De Nittis, l’autore lo seguirà quando quest’ultimo si trasferirà a Parigi.
Il Campriani diventerà un artista a commissione, alle dipendenze di Jean-Baptiste Adolphe Goupil, proprietario di una delle più importanti case d’aste internazionali del mondo.

Eppure questo quadro non era stato commissionato dalla casa d’aste.

La storia di quest’opera inizia con i fratelli Van Gogh.

Per chi non lo sapesse, Vincent Van Gogh e suo fratello Thèo, in gioventù, quando vivevano all’Aia, lavoravano per la casa d’aste di un loro zio. Questa fu, poi, acquistata da Goupil ed i due divennero suoi dipendenti, prima all’Aia, poi a Londra ed, infine, a Parigi nel 1875.
Ebbene… fu proprio Vincent che si imbatté in questo piccolo quadretto e suggerì al fratello di comprarlo per la casa d’aste. Thèo, divenuto direttore della casa d’aste in Boulevard Montmartre, aveva iniziato, a titolo sperimentale, a vendere opere dei pittori di Fontainebleau e degli independants, e così colse il suggerimento del fratello.

Per molti anni tutti pensarono che il quadro fosse rimasto invenduto, per poi essere restituito ai proprietari e riscoperto per caso dai coniugi Di Persio/Pallotta. Ma ecco la sorpresa.
Di recente, durante un inventario delle proprietà dei Rockfeller, tra le carte venne fuori la prova che questo piccolo gioiellino era stato, un tempo, un pezzo della loro collezione, acquistato da Goupil su consiglio dei Van Gogh.

Al momento di questa particolare scoperta, il quadretto era stato dato in prestito dai coniugi Di Persio/Pallotta al Musèe des Beaux-Arts de Bordeaux per la mostra “LA MAISON GOUPIL ET L’ITALIE”. La mostra celebrava gli artisti italiani dell’800 che avevano lavorato con Goupil, e le “Rovine di Pompei” ne divenne il fulcro, ricoprendo di orgoglio i due mecenati.

VINCENZO MIGLIARO E “DONNA CHE RICAMA”

Anche questo piccolo quadretto ha una storia tutta particolare.

museo dell'ottocento
Donna che ricama di Vincenzo Migliaro

La Prof.ssa Pallotta, vedendo questo quadretto così delicato nel catalogo di una casa d’aste, ne rimase molto affascinata e chiese al marito di acquistarglielo. Il quadretto fu venduto senza concorrenti, ad un normale prezzo di mercato, semplicemente perché nessuno si era accorto di un piccolo particolare.
Al momento di controllare l’opera, il sig. Di Persio girò il quadro e si accorse che sul retro c’era un appunto.
Con una chiara grafia, il collezionista ed artista Mario Borgiotti aveva certificato che quel piccolo quadretto era appartenuto al direttore d’orchestra Arturo Toscanini. Questo gli era così caro che lo portava sempre con sé, poggiandolo sul pianoforte mentre suonava.

La fortuna favorisce chi osa, si dice, e i due mecenati sono stati fortunati, ma voci di corridoio asseriscono che, tuttavia, portò al licenziamento della battitrice d’asta che aveva sottovalutato il prezzo dell’opera per semplice disattenzione.

 

SECONDO PIANO

Gli artisti italiani conquistarono Parigi, tanto quanto Parigi conquistò loro. Parteciparono a diverse Esposizioni Universali, mostre personali, e conobbero i pittori francesi loro contemporanei, tra i quali alcuni esponenti della Scuola di Barbizon, fondata non lontana dalla Foresta di Fontainebleau. Alcuni decisero di rimanere in Francia mentre altri tornarono in patria, portando con loro un bagaglio culturale enorme.
Uno dei primi a partire ad andare all’estero fu, forse, il De Nittis, che diverrà famosissimo ed introdurrà molti suoi colleghi nel mondo dell’arte parigina, grazie anche al suo contratto in esclusiva con Goupil e la sua casa d’aste.
All’ultimo piano troviamo, poi, anche le opere degli artisti appartenenti alla Scuola di Barbizon e di artisti italiani del 1800 non appartenenti alla scuola pittorica partenopea o francese. Grazie a loro possiamo aver un quadro completo dell’arte italiana di quel secolo.

Scuola di Barbizon

E così oltre a De Nittis e ad Altamura, con la loro arte figurativa, ritornano i paesaggisti come Palizzi, Pelouse, Gustave Courbet, Díaz de la Peña, Jean-Baptiste Camille Corote, Constant Troyon, Hippolyte Camille Delpy e tanti altri.
Nella scuola di Barbizon, l’arte veniva creata “en plein air”, all’aperto, gli artisti si immergevano completamente nella natura, lasciandosi liberamente ispirare dalla Foresta di Fontainebleau. Gli artisti vagano per i boschi, osservando campi, foreste, paludi, armenti e greggi, studiando e riproducendo gli sprazzi di luce fra le fronde degli alberi. Con il tempo artisti come Théodore Rousseau, aggiunsero al normale paesaggio anche alcuni personaggi, tra i più umili, come contadini e pastori, ispirando, così, pittori del calibro di Maria Rosalia Bonheur.
Grazie ai pittori Barbisonniers, infine, nel 1848, nacque la “Riserva artistica della selva di Fontainebleau”.  Con questo escamotage un po’ singolare, ma sicuramente efficace, questi luoghi vennero preservati dall’incombente disboscamento. È, quindi, grazie all’arte che si ebbe la prima Riserva (o “area protetta”) della storia!

 

CONCLUSIONI

Non si può, in poche righe, raccontare tutto quello che potete vedere in questo museo dell’ottocento, perciò vi invito a visitarlo ed a scoprire nuove forme di bellezza. Pescara merita un museo di questa levatura e la speranza è che i pescaresi sapranno meritarsi l’amore di questi mecenati.

Bye Bye

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