ABRUZZO TERRA DI CONFINE
C’era una volta, tutta intorno a noi, l’Abruzzo,
una terra di confine, misteriosa e inaccessibile,
celata ai nostri stessi occhi da un antico sortilegio….
L’Abruzzo, negli ultimi anni, sembra lentamente riprendersi da una sorta di amnesia con la quale ha convissuto per secoli. Noi abruzzesi stiamo diventando curiosi, forse perché stanchi di ricercare altrove storie, monumenti e leggende, come se qui non fosse mai accaduto nulla. Stiamo tornando ad esser fieri delle nostre origini.
E’ tutto questo grazie alle nuove generazioni, che stanno ridando all’Abruzzo la sua memoria.
Ma andiamo con ordine.
QUANTO CONOSCIAMO LA NOSTRA STORIA?
Qualche tempo fa conversavo con una collega teatina. Lei sosteneva che, in fatto di storia, tra Chieti e Pescara non potevano esserci paragoni perché Chieti (Teate) era un’antica città creata dai Marrucini nel VII sec. a.C., mentre Pescara era solo una città moderna, priva di storia.
Aiutandola a superare (a fatica) le ben note (e giuste! 😉 ) rivalità campanilistiche tra Chieti e Pescara, le illustrai il perché la sua teoria fosse alquanto errata, considerato che anche Pescara (Ostia Aterni) esisteva già ai tempi dei romani (non a caso è stato rinvenuto, recentemente, un mosaico del 200 d.C. nascosto sotto i resti della vecchia fortezza spagnola).
Fu allora che iniziai a ragionare un po’ sull’argomento e mi accorsi che la maggior parte degli abruzzesi conosceva a malapena la storia della propria città, quasi per nulla quella dell’Abruzzo.
“NEGLI ABRUZZI”
Se ci si inoltra appena,
dai pendii più alti delle tre piramidi del monte Velino
si scorge la meraviglia di questa Terra
ed il terrore che nello stesso tempo essa evoca:
catene di montagne che si susseguono,
una barriera dopo l’altra,
isolando valli da altre valli e
rendendo estranea, l’una all’altra,
la gente degli altopiani e delle pianure.
Anne Macdonell (1907)
Non ci si deve, quindi, meravigliare se, fuori dai nostri confini, siamo quasi sconosciuti o noti solo per la pastorizia, gli arrosticini ed i parchi. In fondo, nelle opere di scrittori famosi, come quelle di Ignazio Silone o di D’Annunzio, veniamo sempre descritti come poveri pastori e “cafoni”.
Durante e dopo il COVID, tuttavia, il turismo abruzzese, nazionale ed internazionale, è letteralmente esploso, e ciò si deve, stranamente, anche al fatto che il nostro è un territorio in parte selvaggio ed incontaminato, che verte in uno stato di semi abbandono, posto al fianco di aree urbane densamente popolate ed industrializzate, ricche di movida.
Ma quando e perché siamo stati colpiti da questa amnesia?
LA DIMENTICANZA
Quella che noi chiamiamo vita,
altro non è che la dimenticanza
tra i due infiniti,
il prima e il dopo.
Tiziano Meneghello
Una perfetta sintesi di ciò di cui vi sto parlando si può ritrovare nella presentazione scritta da Angelo Melchiorre al libro di Enrico Abbate, “Storia dell’Abruzzo”:
«Pastori o serpari o cafoni, i nostri abruzzesi sono stati generalmente uomini di una regione montuosa e impervia (anche quelli della costa); e, come tali, più di altri, soggetti alle intemperie e alle difficoltà della vita, resa dolorosa non solo dalla miseria, ma anche dai cataclismi naturali, dai terremoti, dai diluvi, dalle frane, dalle pestilenze e dalle carestie, dalle scorrerie ai saccheggi».
E se l’incedere di tutti questi eventi è una delle ragioni che hanno portato l’Abruzzo a “dimenticare” il proprio passato, le altre sono imputabili proprio a tutti gli eventi che si sono abbattuti sulle nostre terre.
Indice
1.DOMINAZIONI STRANIERE
A differenza di altre aree geografiche, i cui territori sono rimasti assoggettati agli stessi dominatori per secoli, l’Abruzzo fu conteso, frantumato e sottomesso da un manipolo di conti, duchi, marchesi, viceré, signorotti e padroni, che si sono succeduti nel corso dei secoli. Una regione asservita a regni diversi, che non sempre si ricordavano del nostro Abruzzo, questa lontana terra di confine.
Il territorio abruzzese, inizialmente, fu abitato da diverse popolazioni preromaniche che finirono per unirsi contro l’unico invasore romano. Tutti popoli impavidi, alcuni quasi indomiti, che in seguito, inglobati tra le file dell’esercito romano, divennero la spina dorsale del futuro impero: i Frentani; i Carricini; i Pentri; i Marrucini; i Peligni; i Marsi; gli Equi; i Vestini; i Sabini ed i Pretuzi.
Tutto ebbe inizio nel 91 a.C. con la cd. Guerra Sociale, quando i popoli del centro-sud osarono dichiarare guerra a Roma affinché potessero acquisire la tanto agognata cittadinanza romana.
Questi popoli formarono la cd. Lega Italica e stabilirono la capitale nella città di Corfinium (quello che è oggi un piccolo paesotto di montagna di circa 1000 abitanti, Corfinio). Coniarono una propria monetazione che recava su un lato il termine “Italia”. Il termine parrebbe essere la trasposizione greca della parola osca Viteliu, che comportava la caduta della lettera V.
Storicamente, è in questa occasione che si usò per la prima volta il termine “Italia” a fini politici.
I romani sconfissero gli italici ma, vista l’audacia, fu loro egualmente concessa la cittadinanza.
I ROMANI
Sotto l’egida romana, molte città videro fiorire arte, commercio e cultura. Gli abruzzesi avevamo grandi porti, come, ad esempio, quello di Castrum Truentinum (Martinsicuro), di Ostia Aterni (l’antica Pescara), di Horton (che praticamente si è sempre chiamata così!) e di Histonium (l’attuale Vasto).
L’imperatore Claudio, coinvolto nei lavori di prosciugamento del Fucino, portò la Tiburtina-Valeria fino a Pescara, ed il tratto prese il nome di Tiburtina-Claudia-Valeria.
Da Amiternum, antica città fondata dai Sabini vicino L’Aquila, partiva, poi, un’altra importante arteria, questa volta legata alla pastorizia: il futuro tratturo l’Aquila-Foggia.
Questo grande sentiero, in latino callis, passava per Teate (Chieti), proseguiva verso sud, toccando Ostia Aeterni, Anxanum (Lanciano) e Histonium, terminando a Foggia. Spesso questi itinera callium finivano per coincidere con le strade destinate al pubblico passaggio ed, in questi casi, prendevano il nome di calles pubblicae. Il tratturo regio principale, in particolare, ricalcava fedelmente il tracciato della Via Claudia Nova, fino a Navelli, mentre, nel tratto costiero, coincideva con alcuni segmenti della Via Traiana.
A seguito dell’emanazione dei codici di Teodosio e Giustiniano, queste calles mutarono il nome in tractoria, ovvero delle vie dove era concesso il “privilegio” del passaggio, con le greggi, sui terreni pubblici dell’Impero, senza il versamento di alcun dazio. Nascono così gli antichi tratturi che oggi conosciamo.
DAL 500 ALL’800 D.C.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, tutto il territorio finì, prima, in mano ai bizantini e, poi, ai Longobardi.
Chiunque avesse voluto conquistare il sud Italia, doveva scendere sui campi di battaglia abruzzesi; credo che sia per questo che abbiamo tantissimi castelli.
Le terre dell’odierno Abruzzo erano poste al confine tra il Ducato di Spoleto ed il Ducato di Benevento; poi, con il passare del tempo, tra il Regno di Napoli da un lato, e lo Stato Pontificio ed il resto del mondo, dall’altro. Tutto ciò che influenzava l’andamento della politica del Regno, si ripercuoteva sulle nostre terre dove si combatterono battaglie cruciali, terribili saccheggi, violente razzie, assedi, ritorsioni ed inutili stragi.
Ad ogni modo, abbiamo subìto la dominazione di TUTTI i possibili invasori stranieri della storia. Non può neanche farsi una precisa cronistoria, poiché le singole aree abruzzesi ebbero dominazioni locali differenti tra loro.
DALL’800 AL 1300
I Longobardi persero il Ducato di Spoleto a favore dei Franchi, i quali, conquistando una città alla volta, li sconfissero definitivamente. Ciò portò, tra l’altro, nell’801 d.C. alla totale distruzione di Histonium (Vasto) e di Teate (Chieti) da parte di Pipino, figlio di Carlo Magno. I Franchi furono, poi, battuti dai Normanni che, però, persero contro gli Svevi.
Il dominio della grande casata di Federico II finì, bruscamente, con la Battaglia di Tagliacozzo, nel 1268, quando l’ultimo tentativo perpetrato da Corradino di Svevia di riconquistare la corona passata agli angioini, fallì miseramente. La battaglia fu chiamata di “Tagliacozzo” semplicemente perché questa era la città più vicina al terreno di scontro (i Piani Palentini), sotto Alba Fucens, nei pressi dell’attuale Scurcola Marsicana.
Fu per l’appoggio ricevuto in battaglia da parte degli aquilani che gli angioini amarono tanto L’Aquila. La fecero ricostruire, dopo la distruzione perpetrata ad opera di Manfredi di Sicilia, e la elevarono a seconda città più grande ed importante del Regno. I sovrani fecero spesso visita ai propri possedimenti e Carlo II d’Angiò partecipò all’inaugurazione della Basilica di Collemaggio, nel 1294, con i suoi due figli, il futuro Re Carlo Martello e Luigi, conosciuto come San Ludovico di Tolosa.
DAL 1300 AL 1900
La dominazione angioina fu molto lunga ed i loro regnanti, possiamo dire, furono gli unici ad amare il nostro territorio.
Furono gli angioini a dividere l’Abruzzo in Abruzzo Citeriore ed Ulteriore, ovvero Aprutium ultra flumen Piscariae, che comprendeva i territori siti al di là del fiume Pescara, e Aprutium citra flumen Piscariae, quelli posti al di qua del fiume.
All’interno di questi territori, lasciati nelle mani di famiglie come, ad esempio, quelle dei Farnese, dei Medici, dei Piccolomini Todeschini, degli Orsini-Colonna, dei Caldora, degli Acquaviva e dei D’Avalos, la nobiltà locale governava a proprio piacimento, il territorio suddiviso in feudi, baronie e contee, facendo il bello ed il cattivo tempo.
I CALDORA E GLI ANGIOINI
La famiglia Candole (vero nome dei Caldora) era originaria della Provenza. Dopo la “Guerra di L’Aquila” del 1424, durata ben 13 mesi, divenne anche una delle famiglie più potenti d’Abruzzo.
I Caldora, fedeli agli angioini, osteggiarono fortemente, assieme a molti altri nobili del tempo, i nuovi sovrani aragonesi saliti al trono nel 1442, poiché contrari al progetto di rinnovamento del regno in una prospettiva meno feudale.
Si scatenò, così, la cd. Congiura dei Baroni.
Vi furono diversi scontri, con esiti altalenanti, come la battaglia del Tordino nel 1460, dove vinsero gli angioini. Qui, dopo la distruzione di una precedente città romana (Castrum Novum Picenii) era stato eretto il Castello San Flaviano, dominio angioino. L’anno seguente, tuttavia, gli aragonesi fecero radere al suolo la città ed il castello. La città venne, poi, ricostruita nuovamente con il nome di Giulia Nova, per volere del duca di Atri, Giulio Antonio I Acquaviva d’Aragona.
I D’AVALOS E GLI ARAGONESI
La congiura non ebbe, per i nobili, l’esito sperato. Ferrante D’Aragona fu inarrestabile, annientò tutti i Baroni rivoltosi, ad uno ad uno.
Iniziò la sua spedizione punitiva contro i Caldora nel 1464, quando riuscì a strappargli ben 65 feudi su 70, per poi dirigersi su Vasto, ultimo loro baluardo.
L’Assedio di Vasto durò circa un anno. Si narra che la battaglia ebbe termine perché proprio i vastesi, stremati, catturarono Antonio Caldora e lo consegnarono agli aragonesi.
I relativi feudi andarono alla famiglia D’Avalos (una delle famiglie nobiliari più antiche d’Abruzzo), ed il Caldora morì in fuga ed in miseria alcuni anni dopo.
IL VICEREAME
Nel 1504, dopo l’unificazione della Spagna grazie al sodalizio tra le famiglie degli Aragonesi con i Castigliani, la monarchia spagnola sconfisse quella francese, ed il Regno di Napoli ed il Regno di Sicilia diventano due vicereami, ultra et citra Pharum, inteso come sopra e sotto il Faro di Messina, quel lembo di mare che divideva l’Isola dal Continente, oggi noto come Stretto di Messina.
Nel frattempo, nel 1566, le nostre coste furono devastate dal passaggio del terribile ammiraglio ottomano Piyale Paşa, che, tanto per cambiare, distrusse qualunque chiesa e città trovasse sulla costa. Rapì uomini, donne e bambini e razziò tutto ciò che poté.
Da qui in poi inizia il vero e proprio declino della nostra regione. Ai sovrani spagnoli non interessava nulla di ciò che accadeva in Italia, lasciando tutto in mano ai baroni ed ai vari feudatari. Aumentarono le tasse ma i soldi finivano nelle casse della famiglia reale, e non investiti sul territorio. E così, con l’altalenarsi del governo degli Asburgo, scellerati nell’amministrazione del vicereame, con quello dei Borboni, più illuminati, la situazione andò peggiorando, dando vita a gravi casi di brigantaggio. Scoppiarono diverse insurrezioni ma furono tutte sedate con la repressione dei vari eserciti.
NAPOLEONE BONAPARTE E MURAT
Nel 1798 non poterono mancare le truppe di Napoleone Bonaparte in rotta contro Ferdinando IV di Borbone. I francesi incendiarono la fortezza spagnola di Pescara, fortificata nel 1560, e poi proseguirono verso l’interno. Distrussero e massacrarono civili innocenti a Popoli ed a Roccacasale. Il governo francese del Regno, dato in mano a Gioacchino Murat, durò una manciata d’anni. I francesi cercarono in ogni modo di migliorare le infrastrutture del paese e l’economia, ma i Borboni tornarono al governo nel 1815 e qui rimasero fino all’Unità d’Italia. L’Abruzzo, terra di confine tra il regno dei Borbone e quello dei Savoia.
A Civitella del Tronto si combatté l’ultima storica battaglia tra le due monarchie, conclusasi appena dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Era il 1861.
Non crediate, tuttavia, che le cose cambiarono poi molto, dopo l’Unità d’Italia. Inizialmente, infatti, si venne a creare un enorme divario socio-economico tra nord e sud, e l’Abruzzo divenne terra di confine, in senso astratto.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Una delle informazioni storiche più note è che per Ortona passava la Linea Gustav, una linea immaginaria che divideva i territori occupati dai nazisti da quelli degli alleati (tanto per rimanere in tema di terra di confine), e la città venne soprannominata la “Stalingrado d’Italia”, per i bombardamenti subiti. Ma la guerra non si ridusse solo a questo, l’Abruzzo fu una regione che, come sempre, combatté le sue battaglie in silenzio.
Ci sono stati ingiustificati eccidi, da parte dei nazisti, di inoffensivi civili a Filetto, Onna e Pietransieri, ma anche stragi di persone inerti commesse da scellerati bombardamenti “alleati” a Pescara, che fu rasa al suolo per il 70%, provocando la morte, in totale, di circa 5000 persone. Era piena estate e la gente era in casa a pranzare, fu un massacro fulmineo quanto inutile.
LA “BRIGATA MAIELLA”
Gli abruzzesi sono taciturni, non amano parlare di sé e, forse, gli anziani non vogliono neanche ricordare molti di questi eventi. Eppure i nostri pastori e montanari, hanno salvato molte vite grazie alla “Resistenza Umanitaria”, facendo oltrepassare la linea Gustav a tantissimi uomini e donne, attraverso monti impervi e gelidi, come accadde al Presidente Azeglio Ciampi.
Ed è giusto ricordare, in questo contesto, la “Brigata Maiella”, l’unica formazione militare italiana della seconda guerra mondiale priva di una connotazione politica, formata da volontari abruzzesi senza esperienza bellica. E’ grazie a questi uomini che le Marche e l’Emilia Romagna furono liberate così in fretta, in battaglie che potremmo definire epiche e narrate giusto in qualche sparuto libro di storia.
Con queste premesse, quindi, già capiamo che agli abruzzesi fu rubato il futuro. Al popolo non serviva sapere chi aveva il potere, tanto finiva sempre per essere tradito ed abbandonato. E mentre gli uomini o morivano in guerra o erano dediti alla transumanza, lontani per mesi, le donne, gli anziani ed i bambini rimanevano gli unici baluardi delle tradizioni.
Le conservavano all’interno delle mura domestiche.
O forse no.
2.I TERREMOTI
A spazzar via il ricordo delle città, delle case e dei castelli ancora in piedi, intervenivano i terremoti.
I terremoti sono stata causa e conseguenza del nostro oblio culturale.
Ciò che di storico rimaneva al passaggio distruttivo di una dinastia regnante, veniva annientato dalla furia degli elementi.
Tra il 408 ed il 508 d.C. si sostiene che vi sia stato già allora un terribile terremoto, forse con epicentro proprio a Gioia dei Marsi. Comportò il crollo e la parziale ostruzione dei Cunicoli di Claudio e ciò impedì il defluire delle acque del Fucino, rimettendo in pericolo gli abitati rivieraschi.
TRA IL 1300 ED IL 1700
Nel 1315 vi fu un lunghissimo sciame sismico che colpì L’Aquila e Sulmona. Le scosse più forti raggiunsero il 9° grado della scala Mercalli. La gente dormì, per oltre un anno, in tende all’aperto.
Lo storico Matteo Villani testimonia nella “Nuova Cronica”:
«La città dell’Aquila ne fu quasi distrutta,
che tutte le chiese e grandi dificj della città
caddono con grande
mortalità d’huomini e di femmine;
[…] ed erano sì grandi (le scosse)
che in piana terra era fatica all’uomo
di potersi tenere in piedi.».
Nel 1456 un terremoto dell’11° grado Mercalli, colpì il Regno di Napoli, con 5 epicentri diversi. Si contarono decine di migliaia di vittime. Rivisondoli ed altri paesi abruzzesi vennero rasi interamente al suolo, mentre a Taranto vi fu persino un maremoto.
Fu definito forse il più forte del millennio.
Durante il 1700 avvennero cinque grandi terremoti tra il 10° ed 11° grado Mercalli che distrussero Sulmona e Poggio Picenze.
I TERREMOTI DEL 1915 E DEL 2009
I terremoti più noti sono sicuramente gli ultimi, perché più recenti ma anche perché i resoconti sono stati più accurati e le immagine si sono impresse nella memoria di tutti.
Nel 1915 un terremoto dell’11° grado Mercalli, con epicentro a Gioia dei Marsi, fece più di 30.000 vittime nella sola Marsica. La quasi totalità dei paesi del Fucino venne rasa al suolo. Ancora oggi, sul crinale del Monte Serrone, è visibile, dal Castello di Ortucchio, una spaccatura bianca: la cicatrice di quel tragico giorno. La montagna si spaccò in due formando uno scalino con un dislivello, in alcuni tratti, di circa un metro.
Ed anche se, negli anni, si ebbero altre lievi scosse, nulla poteva far presagire quanto accadde il 6 aprile 2009, a L’Aquila. Il terremoto che per danni (inestimabili) e vittime (309), fu considerato il più disastroso del XXI secolo. Onna venne rasa al suolo, così come, parzialmente, L’Aquila.
Alla fine, ora come allora, gli effetti psicologici sulla popolazione furono i medesimi del 1315.
Perdita di centinaia di vite umane, tanta paura che pervase le nostre anime per mesi, e la perdita di uno già scarno patrimonio artistico e culturale.
3.MISERIA, CARESTIA, MALATTIE, EMIGRAZIONE
E così siamo arrivati all’elemento umano.
I terremoti ci hanno tolto il passato, spazzando via le mura delle nostre case. I nostri archivi, le chiese ed i castelli, sono andati bruciati o distrutti e, con loro, parte della memoria storica documentale. Gli abitanti erano stati decimati dalla febbre gialla, dal colera, dalla peste o dalla malaria. Tutti antichi antenati del COVID19.
L’avvicendamento di così tanti padroni, dominatori e sovrani che non portavano alcun miglioramento economico e/o sociale nella popolazione, ci tolse il futuro. L’Abruzzo venne anche escluso dai nuovi processi di modernizzazione attuati dai Savoia dopo l’unificazione del Regno d’Italia.
Ed ecco che all’abruzzese non rimase che il presente. Dopo l’unificazione d’Italia, gli abruzzesi furono perseguitati e braccati perché forse alleati e complici dei briganti, vennero poi decimati dalle guerre mondiali e dai terremoti più terribili della storia, ed alla fine, quando venne loro concessa la possibilità di fuggire da qui, non poterono che cogliere la palla al balzo.
La nostra memoria storica andò altrove.
Belgio, Canada, Svizzera, Australia, America, Nord Italia…
Ed anche così, come sappiamo, non sempre gli abruzzesi ebbero fortuna.
Il poeta Aleardi, nei versi racchiusi nella poesia Le paludi Pontine, ricorda le terribili condizioni dei mietitori abruzzesi mentre lavoravano nella desolazione delle paludi. In una nota il poeta scriveva:
“Ora la mal’aria tiene spopolata quella vasta pianura, la quale in molte parti è feracissima. I soli Sabini e gli Abruzzesi, sfidandone le febbri mortali, ardiscono scendere dai loro monti per guadagnarsi un pane colà al tempo della mietitura. La miserabile condizione di que’ mietitori è dipinta energicamente dalla risposta, che mentre io ero a Terracina, mi dicevan data a un viaggiatore. «Come si vive costì?» chiese questi passando. A cui l’Abruzzese: «Signore, si muore»”.
A questo aggiungiamo anche il disastro accaduto nelle miniere di carbone di Marcinelle del 1956, dove trovarono la morte 136 italiani, tra i quali 60 abruzzesi.
Non possiamo negare che gli abruzzesi abbiano sofferto.
ED ECCO. SIAMO GIUNTI ALLA FINE
Non servirebbe aggiungere altro per comprendere il perché per secoli non abbiamo voluto ricordare, perché l’Abruzzo abbia voluto perdere la sua memoria. Ci siamo voluti lasciare tutto alle spalle. Parlare è inutile, dopo anni di sottomissione non ti fidi di nessuno.
“Ognuno fa ciò che deve, con garbo
ma anche con rassegnazione.
Questa gente di montagna, austera e cortese,
non è espansiva come lo è il carattere
che si attribuisce in genere agli italiani.
Gli Abruzzesi, infatti, sono orgogliosi,
diffidenti e poco inclini a parlare di se stessi,
e non credono che un forestiero
possa interessarsi a loro.
Anne MacDonell (1907)
ABRUZZO TRA PASSATO E FUTURO
E’ da qualche tempo, però, che gli abruzzesi hanno iniziato a riscoprire le proprie origini e le proprie tradizioni, per comprendere, oggi, chi sono.
Personalmente, cercando notizie sul nostro passato, mi sono resa conto che nella maggior parte dei casi la nostra storia l’hanno custodita gli altri.
I libri sull’Abruzzo sono segregati nelle biblioteche pubbliche, con il divieto di essere portati fuori mentre è, in alcuni casi, diventato impossibile perché alcune delle Case Editrici locali sono state chiuse con il tempo. E così, capita che si trovino interi libri online, in microfilm, sulla storia dell’Abruzzo, in biblioteche tedesche, francesi o americane.
Abbiamo i resoconti dei “vincitori”: i ricchi e potenti signori che ci avevano dominato, conservavano la nostra storia per loro gloria.
Abbiamo, poi, gli “artisti”, che ci descrivevano come un paese ricco di meraviglie, rigoglioso e selvaggio.
Per farla breve, per scoprire come vivevano gli abruzzesi tra il 1700 ed i primi del 1900 sono quasi sempre finita a leggere libri di turisti inglesi che hanno attraversato, in quegli anni, i nostri territori!
DIARI DI VIAGGIO
Ho scoperto tante cose spulciando tra i libri scritti da signori inglesi o francesi, siano essi stati artisti o viaggiatori.
Non dobbiamo dimenticarci, infatti, che mentre al nostro interno, fino forse alla seconda guerra mondiale, vivevamo in una arretratezza economica e sociale da “medioevo”, per il mondo civilizzato “gli Abruzzi” erano una meta quasi esotica del Gran Tour: una viaggio che gli stranieri intraprendevano non appena raggiunta la maggiore età, così da vedere dal vivo ciò che avevano studiato solo sui libri.
Sulle coste, invece, in particolare a Castellamare, gli stranieri attraversavano la città a bordo della “Valigia delle Indie”, il treno che trasportava i turisti inglesi da Londra a Calcutta. Alcuni si trattenevano per ritrarre i semplici barchitti di rientro dalla pesca, trovando forse ospitalità in qualche residenze estiva delle nobili famiglie italiane lì in villeggiatura.
NATURA SELVAGGIA
Gli aspetti così bucolici delle nostre terre affascinavano lo straniero sicuramente perché, in quegli anni, eravamo in pieno Romanticismo ed allo stesso tempo, perchè si stavano gettando i semi del movimento culturale del Realismo e del Naturalismo (che sfociarono nel Verismo di Verga e Silone).
Questi stranieri ci hanno lasciato accurati diari odeporici, ovvero diari di viaggio, all’interno dei quali descrivevano l’Abruzzo con novizia di particolari, soffermandosi sugli uomini e sulle emozioni che questi luoghi suscitavano in loro stessi, sui canti, le leggende e le tradizioni che li accomunavano.
Non aride cronache ma racconti emozionati ed emozionanti, che stupiscono persino noi abruzzesi post rivoluzione industriale.
C’è da rimanere increduli del fatto che solo cento anni fa noi eravamo ancora così “arretrati”.
4.ED OGGI?
Un giorno, di qualche anno fa, mi è capitato di andare a trovare mia cugina Maria Francesca, una milanese verace che però oggi vive in un paese vicino Sanremo. Qui, con mio enorme stupore, scoprii che il suo compagno, ligure DOC, DOP ed IGP, conosce vita, morte e miracoli dell’Abruzzo. Ma come!?
Semplice. Nei dintorni del paese ci sono intere colonie di abruzzesi, e lui passava le estati scorrazzando da una sagra di arrosticini all’altra.
Quindi, a questo punto, possiamo tirare un respiro di sollievo e prendere atto del fatto che la nostra memoria storica c’è ancora, ma è… altrove! Dobbiamo solo recuperarla.
IL DOMANI
Di recente, giovani menestrelli e cantastorie si sono svegliati dal loro torpore, all’unisono. Da luoghi diversi, chi nella Marsica o a Pescara, nel chietino o nel teramano, sono partiti per un viaggio alla scoperta di sé stessi.
Ed oggi sono qui a raccontarci una storia su un passato perduto. Non per rimuginarci sopra, però.
I giovani creano il loro futuro usando il passato come una leva, così da scavalcare questo pericoloso fiume del presente e partire per una nuova avventura. Non siamo più gli abruzzesi narrati da Silone in “Uscita di Sicurezza” o in “Fontamara”, o da D’Annunzio, nella Figlia di Iorio. Siamo cambiati, ed anche se la strada è lunga, vogliamo farlo scoprire al mondo.
CYBER-CANTASTORIE E SUPER-MENESTRELLI
C’era una volta, tutta intorno a noi, l’Abruzzo, una terra di confine,
misteriosa ed inaccessibile,
celata ai nostri stessi occhi da un antico sortilegio
che fu spezzato grazie all’amore dei suoi abitanti…
Qualche anno fa la mia amica Guendalina mi ha fatto conoscere il romanzo di Francesco Poia, “Polvere di Lago”.
Un libro che racconta, in modo scorrevole ed avvincente, i miti e i misteri del popolo dei Marsi, in maniera interattiva. Tra un capitolo e l’altro troviamo, infatti, stampati tanti QRCode che ci portano online sui luoghi, reali, narrati nel romanzo.
Tramite mio marito, qualche anno dopo, ho conosciuto Camillo Chiarieri il quale, con i suoi racconti su Pescara e sull’Abruzzo, mi ha lasciata senza parole. Camillo, oltre ai suoi libri, ci ha illustrato, dal vivo e non virtualmente, la storia, i misteri e le leggende di questa città che solo moderna non è.
Ricordo ancora oggi, con ilarità, lo sguardo sbigottito di alcuni pescaresi che si imbattevano nella nostra orda di curiosi mentre seguivamo Camillo per i quartieri di Pescara. Li sentivi parlottare tra loro, stupiti, chiedendosi “Sono turisti? Perché stanno visitando Pescara?? Con una guida?!?!”.
COOPERATIVE ED ARTIGIANI
Sono rimasta, ancora, sorpresa di incontrare, alle sorgenti del Tirino, una cooperativa composta da giovani che vogliono far conoscere la loro terra a tutti.
Ci portano in canoa sul fiume mentre ci raccontano le tradizioni e la cultura del posto.
Contemporaneamente ci insegnano il rispetto per la natura, sensibilizzandoci.
Ci ricordano che a Bussi si produceva uno dei gas più letali della storia, l’Iprite, o gas mostarda, e che i suoi resti sono stati nascosti nel nostro sottosuolo, con chissà quali rischi per l’ambiente e le nostre risorse idriche.
Abbiamo, infine, nuovi artigiani, come gli orafi Verna che hanno deciso, a proprio rischio e pericolo, di rilanciare l’economia di paesi quasi sull’orlo dell’abbandono, come Calascio, realizzando musei e botteghe artigianali e creando una rete, socio/culturale, che in qualche modo li coadiuvi.
E così a seguire, tantissimi altri.
Il futuro e la ripresa economica della nostra regione è legata quasi completamente all’ambiente ed alla cultura. Al mare, alla montagna, ai parchi, al mangiare ed anche alla nostra storia.
Tutti dovremmo fare rete, diventando interconnessi. Superando sterili campanilismi territoriali, stordendo di meraviglie i turisti stranieri affinché ritornino o proprio non se ne vadano più!
POTERE DEL BUONGUSTAIO
Traendo spunto da un paragrafo del libro “La Fisiologia del Gusto” del magistrato francese, nonché grandissimo esperto di cucina ed inventore, Jean-Anthelme Brillat-Savarin, della fine del 1700, vorrei chiarire che il cibo e la cucina non sono solo uno specchietto per le allodole, una moda passeggera. Coinvolge una grande fetta della nostra economia ma, più importante, coinvolge la nostra salute.
Certo, potrei parafrasare il discorso di Miranda Priestley sull’industria della moda, nel “Diavolo Veste Prada” dimostrando alla massa che anche il cibo fa tendenza e crea economia, ma la verità può essere espressa anche più semplicemente.
Tutto ciò che ruota intorno al mondo culinario è una vera e propria industria che dà da mangiare (economicamente) a milioni di persone in tutta Italia, ed è uno dei motori del turismo locale.
È doveroso, tuttavia, rimpinzare i nostri ospiti con le prelibatezze del luogo, piatti tipici e prodotto autoctoni, per far riprendere l’economia abruzzese. Cibo sano, nostrano e non trattato, per far rifiorire l’agricoltura e la pastorizia locali.
L’aumento della produzione dei prodotti tipici trascinerà, naturalmente, con sé anche altri settori legati all’economia alimentare e darà il via ad un circolo virtuoso, all’interno della regione, di cui si sente tanto la necessità.
Approfittiamone.
Oggi su Internet e sui social, nascono e proliferano siti che, finalmente, raccontano qualcosa di noi.
Ogni tanto “l’Abruzzo” salta fuori in una puntata di “Rocco Schiavone” (ma del resto Manzini aveva i nonni chietini), o di “Don Matteo”; se n’è parlato al premio “Strega” o al “David di Donatello” con “L’Arminuta” della Di Pietrantonio o nelle fiction come “The New Pope”, con i suoi eremi e santuari.
Campo Imperatore, durante il COVID è stato denominato “Camper Imperatore” per quanti camper, in fuga dalle città e dal contagio, si sono rintanati lì (non senza critiche ambientalistiche).
Insomma, l’Abruzzo s’è desto, speriamo prenda anche un bel passo ed inizi a correre. Non ci manca nulla: abbiamo luoghi d’interesse storico-turistico e religioso, mare e montagna, cammini, sentieri, artigianato e buon cibo. Non abbiamo, forse, l’elmo di Scipio, ma solo perché credo che sia più appropriato sfoggiare lo scudo dei Marsi, con al centro la loro antica e, più temibile, Chimera.
L’Abruzzo ha riacquistato la sua memoria, speriamo che duri!
Bye Bye
BIBLIOGRAFIA
“STORIA DELL’ABRUZZO”, ADELMO POLLA EDIZIONI, Enrico Abbate
“STUDI DI STORIA ROMANA E DI DIRITTO”, ED. DI STORIA E LETTERATURA, Umberto Laffi
“NEGLI ABRUZZI”, ADELMO POLLA EDIZIONI, Anne MacDonell
“CIVILTÀ DELLA TRANSUMANZA – GIORNATA DI STUDI – ATTI” – ARCHEOCLUB D’ITALIA – SEZIONE DI CASTEL DEL MONTE (AQ)
“STORIE DELLA STORIA D’ABRUZZO”, NEO EDIZIONI, Camillo Chiarieri
“ABRUZZEN UND MOLISE”, PRESTEL, Otto Lehmann-Brockhaus
“LA FISIOLOGIA DEL GUSTO” Slow Food Editore, Jean-Anthelme Brillat-Savarin
Siti di approfondimento
https://www.pescarapost.it/cultura/riscoprendo-labruzzo-della-via-tiburtina-valeria-claudia/118970/
https://www.ilcentro.it/chieti/nato-nell-842-%C3%A8-il-rito-pi%C3%B9-antico-d-italia-1.1283189
https://abruzzoturismo.it/it/le-strade-derba-i-cammini-della-transumanza
https://noivastesi.blogspot.com/2015/08/alla-riscoperta-di-vasto-lassalto-di.html?m=1
http://www.straginazifasciste.it/
https://www.terremarsicane.it/il-terremoto-3/
https://giancarlosociali.it/2018/02/03/il-vero-simbolo-dei-marsi/
https://asud.net/i-veleni-alleati-di-mussolini-savoia/
https://www.advcom.it/giuliantica/batt_now.htm
http://portodipescara.blogspot.com/2011/04/storia-del-porto-di-pescara-e-del-fiume.html
http://discoveryabruzzomagazine.altervista.org/la-geopolitica-dei-popoli-italici-che-abitavano-l-abruzzo/
Crediti
Foto di copertina Photo by Federico Di Dio photography on Unsplash
Per scrivere questo post e citare prodotti o attività in esso contenuti, non mi sono stati offerti oggetti o compensi di alcun genere.