RESPIRAZIONE
Sicuramente in molti ritenete di saper respirare, eppure oggi scoprirete che non è così semplice o che, comunque, il respirare non è solo un attività fisica che compiamo automaticamente. Dietro al respiro si cela la concezione stessa della creazione dell’uomo ed è uno dei nostri quattro segni vitali.
Possiamo affermare che la nostra vita si fonda su tre pilastri portanti: la visualizzazione (di cui abbiamo già parlato in precedenza) la respirazione e la vibrazione.
Nelle filosofie orientali, la respirazione e la meditazione permettono all’uomo di migliorare la propria vita, non facilitando il raggiungimento di uno scopo materiale (come accade nelle culture occidentali: ricchezza, fama, ecc.) ma elevandolo spiritualmente. Tale miglioramento, stranamente, finisce con produrre alcuni benefici effetti collaterali, come la gioia e la serenità e, perché no, di riflesso, anche successo nella vita.
Nelle tre religioni monoteiste principali, invece, il respiro è considerato fonte di vita e rappresenta la divinità stessa.
Come sempre, però, facciamo un passo alla volta.
La respirazione classica
Nel mondo occidentale riconosciamo 4 tipi principali di respirazione, ognuna di queste ci impegna in un modo diverso.
- L’eupnea è la respirazione dei mammiferi. La parola eupnea deriva dal greco eu-, “bene” e pneo, “respiro” ed è la respirazione a riposo, normale, quando non vi è alcun pericolo. E’ una respirazione automatica, senza l’esercizio di alcuno sforzo o pensiero cognitivo dell’individuo;
- L’iperpnea, che significa respirazione veloce, si ha quando il nostro corpo richiede un apporto maggiore di ossigeno momentaneo. È una respirazione forzata e richiede contrazioni muscolari sia durante l’inspirazione che durante l’espirazione, come la contrazione del diaframma, dei muscoli intercostali e dei muscoli accessori. Può verificarsi durante un’attività fisica o quando è richiesta la manipolazione attiva della respirazione, come nel canto;
- La respirazione diaframmatica richiede la contrazione del diaframma ed è anche nota come respirazione profonda. Durante l’ispirazione, il diaframma si contrae aumentando il volume della cavità polmonare, ed aiuta i polmoni a riempirsi in modo più efficiente. Con l’espirazione, il diaframma si rilassa e riduce il volume della cavità polmonare, mentre l’aria lascia passivamente i polmoni. Un altro nome di questo tipo di respirazione è “del ventre”, poiché che coinvolge completamente lo stomaco, i muscoli addominali e il diaframma. Questa respirazione necessita di un intervento cognitivo dell’individuo;
- La respirazione costale richiede la contrazione dei muscoli intercostali ed è anche chiamata respirazione superficiale, poiché non ci permette di assumere, nel lungo periodo, abbastanza ossigeno. Non è la più salutare, non a caso la utilizziamo inconsciamente nei casi di stress, ansia e paura. Attraverso questa respirazione, detta anche clavicolare, l’aria viene ispirata principalmente nel torace, sollevando le spalle e le clavicole e contraendo, simultaneamente, l’addome. Richiede uno sforzo persistente e può provocare una diminuzione di apporto di ossigeno nel sangue ed un accumulo di anidride carbonica.
Ma come funziona la respirazione?
Sappiamo che la maggior parte degli esseri viventi ha bisogno di ossigeno per vivere ed il nostro corpo lo ottiene in due modi, attraverso la respirazione interna, o cellulare, e quella esterna, o polmonare.
Nella respirazione cellulare, le cellule del nostro corpo utilizzano l’ossigeno per la combustione delle sostanze nutritive, con conseguente produzione ed eliminazione di anidride carbonica.
Con la respirazione polmonare, invece, il nostro corpo acquisisce ossigeno inspirando aria e convogliandola nei polmoni dove, negli alveoli, avviene lo scambio di gas. Successivamente il sistema circolatorio trasporta questi gas da e verso le cellule, dove avviene la “respirazione cellulare“.
La respirazione esterna, quindi, consiste in cicli continui, ed alternati, di inspirazione ed espirazione attraverso un sistema di vie aeree che dal naso porta l’aria agli alveoli ed al sangue, e viceversa.
Come dicevamo in precedenza, il normale ciclo respiratorio è detto eupnea, e la respirazione è uno dei quattro segni vitali primari, assieme alla temperatura corporea, alla pressione sanguigna ed alla frequenza cardiaca.
Respirazione esterna
L’apparato respiratorio si divide in “vie aeree superiori”, formate dalle cavità nasali, la faringe e la laringe, e in “vie aeree inferiori” (come un albero da cui dipartono i rami, ma a testa in giù) formate dalla trachea, i polmoni ed i bronchi.
Andando sempre più in profondità, l’aria arriva ai bronchioli respiratori, ai dotti alveolari ed agli alveoli dove, in conclusione, avviene lo scambio di gas ossigeno-anidrite carbonica per diffusione, ovvero l’ossigeno di diffonde dalle pareti degli alveoli ed arriva nei capillari.
Respirazione cellulare
Arrivato nel sangue, l’ossigeno arriverà alle cellule le quali, in cambio, daranno indietro anidride carbonica di scarto, che verrà presa dagli alveoli ed espulsa tramite le vie respiratorie. Tutta questa attività serve anche a mantenere la temperatura del sangue costante (pH) così come la pressione, per un nostro maggior benessere.
IL RESPIRO TRA RELIGIONE E FILOSOFIA
Per secoli, l’uomo si è concentrato sul respiro come metafora del divino, riconoscendolo quale fondamento della vita.
Cristianesimo
“Un solo respiro. Tutto è solo respiro”
Robert Alter.
La parola “spirito” deriva dal latino spiritus, che significa respiro.
Nel Nuovo Testamento, il respiro simboleggia lo Spirito Santo, la terza “persona” della Trinità. Ce lo racconta Giovanni nel suo Vangelo, quando Gesù appare ai discepoli dopo essere risorto e “soffiando” su di loro dice “’Ricevete lo Spirito Santo”.
Ma il respiro è anche fonte di vita:
“Lo Spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell’Onnipotente mi dà la vita”
Bibbia (Giobbe 33:4)
Il respiro divenne così, per i cristiani, simbolo di vita ma anche di anima.
Secondo Tertulliano, l’anima è “nata dal respiro di Dio, immortale, corporea e rappresentabile”.
La preghiera, del resto, non è che respiro.
Nell’antichità vi era una particolare preghiera contemplativa, di origine bizantina, chiamata esicasmo e si recitava ripetendo incessantemente una stessa frase – “Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore” – accompagnandola da un respiro cadenzato, seguendo un particolare rituale: «[…] Trattieni il respiro il tempo necessario perché la tua intelligenza trovi il luogo del cuore e vi resti integralmente. All’inizio tutto ti sembrerà tenebroso e molto duro, ma col tempo e con l’esercizio quotidiano scoprirai in te una gioia continua».
Il senso di questa pratica non era tanto nel valore delle parole ma quanto nel modo e nel sentimento con il quale si recitavano, tanto da essere paragonabili ai mantra buddisti o induisti. Nella pratica questa preghiera serviva a concentrarsi per trovare il proprio sé e rimanere soli con Dio.
Islamismo
“Ogni respiro, ogni momento,
devi essere consapevole che di Dio,
ha messo il respiro in te”.
“Islam” significa “sottomissione”, “abbandono” ed attraverso la respirazione, il fedele ribadisce costantemente la sua sottomissione a Dio.
Gli islamici utilizzano una pratica che rimanda al citato esicasmo nota come dhikr (in arabo “ricordo”) che implica la recitazione multipla di una serie di frasi, come i 99 nomi di Allah, sgranando un misbaḥah, un bracciale fatto di grani per aiutare il fedele nella preghiera.
Praticare il dhikr in un ambiente rituale e comunitario seguendo particolari ritmi di respirazione è un segno distintivo del Sufismo Islamico, attraverso una tradizione chiamata habs-i dam, in arabo “mantenere il respiro in raccoglimento”.
I fedeli si esibiscono in danze dove i praticanti, chiamati dervisci, ruotano su loro stessi di continuo nella ricerca dell’estasi, recitando il nome di Dio. La danza è uno dei modi per raggiungere l’abbandono, pregando sottovoce: ogni respiro che esce da noi, senza che con esso venga ricordato il nome di Dio, è sterile, privo di vita, mentre ogni respiro che esce nel ricordo del Signore è “vivo” e connesso con Lui.
La danza è conosciuta col nome di dhikr as-sadr, “invocazione attraverso il respiro”, nel corso della quale il nome di Allah, ridotto alla sillaba hu, viene appena pronunciato, ma di continuo. Alla fine, nome e invocazione si riducono alla semplice respirazione, che rappresenta sia il nome divino nella sua forma più pura (il soffio della vita) che il processo cosmologico della creazione (il soffio che dà vita) ed il nostro ritorno in Dio.
In concreto il nome di Dio perde la sua forma e diventa respiro.
Giudaismo
«Non con la forza,
né con la potenza,
ma con il mio Spirito,
dice il Signore degli eserciti.»
Bibbia (Zaccaria, 4:6)
Le parole ebraiche per respiro hanno un duplice significato, uno spirituale ed uno fisico: Neshamah e nefesh si riferiscono al respiro così come ad “anima” o “spirito”. Ruach/Ruah, che può significare respiro, vento ma anche spirito santo, la cui pronuncia il fischio del vento.
Ruach haQodesh significa Spirito Santo, non nel senso cristiano, ma come ispirazione divina: è una delle forme di Dio, una forza motrice che regge tutto l’universo. Un universo nato dal respiro di Dio.
“Come produsse Dio il mondo, come lo creò?
Come un uomo trattiene il respiro, e si contrae in se stesso,
in modo che il poco possa contenere il molto,
così anche Dio contrasse la sua luce di una spanna,
e il mondo rimase come tenebre” (XIII sec.).
Questo brano parla “della contrazione o ritiro (tzimtzum) di Dio”, un movimento all’interno della divinità – simile a un respiro cadenzato – che sarebbe più antico della stessa creazione. Sicuramente riconoscerete questa teoria! Come no? E’ la teoria che motiva il pericoloso criminale a cui dà la caccia “il Giovane Montalbano” nel film tratto dal racconto omonimo di Andrea Camilleri “Sette lunedì”: “mi sto contraendo”… ricordate?
Tornando a noi, Dio, prima di creare l’universo, si è contratto; il punto di partenza della creazione si trova in una interiorizzazione, in un ritiro dell’essere nel suo stesso essere. Senza tzimtzum non c’è creazione poiché Dio riempie “tutto” lo spazio. La creazione è, dunque, una sorta di esilio in quanto Dio si ritira dal suo essere e si rinchiude nel suo “mistero” per poi volgersi nuovamente verso l’esterno inviando un “getto” di luce del suo essere verso lo spazio primordiale e dare vita alla creazione.
Buddismo
“Inspirando, sono consapevole del mio corpo.
Espirando, sono consapevole del mio corpo”.
Meditazione Zen
Si narra che Gautama Buddha (Siddhārtha), abbia insegnato ai suoi discepoli la “consapevolezza del respiro” o ānapānasati, all’interno della “consapevolezza del corpo”, o kāyānupassanā.
Secondo la filosofia buddista, infatti, si ha consapevolezza (o in inglese mindfulness) quando si è in una condizione di “presenza mentale”, ovvero ogni qualvolta una persona apprende e vive senza che il proprio corpo o la propria mente siano influenzati da elementi esterni, correnti di pensiero, ricordi, fantasie o forti emozioni che li distraggano.
Per praticarla Buddha ci ha lasciato il Canone Pali, una raccolta di testi antichi sviluppata tra il 400 e il 200 a.C., dove vengono descritte in dettaglio 16 pratiche di respirazione distinte che i buddisti usano ancora oggi, tra cui la visualizzazione, l’allungamento o l’accorciamento del respiro e il mantenimento del corpo in posizioni calmanti.
Trascendendo ora la disciplina in sé, nel XX secolo la psicoanalisi ha conosciuto le teorie buddiste facendole sorprendentemente proprie. Oggi la mindfulness viene utilizzata nel contesto della terapia o della prevenzione di un gran numero di diversi disturbi o problemi psicologici e fisici.
Induismo
Nell’induismo troviamo il Prāṇa, tradotto come “il respiro della vita” o “il principio della vita”. Si trova nei testi sanscriti risalenti a circa l’anno 1000 a.C. e rappresenta sia lo spirito, o l’anima, che il vento, o il respiro. Lo troviamo nello yoga, nel haṭha yoga, nel tantra e nella Ayurveda.
Il Prāṇa è un’energia vitale che attraversa ogni cosa che esiste nell’universo e può essere manipolato attraverso una tecnica chiamata prāṇāyāma. Intorno al 300 d.C., il filosofo indiano Patañjali includeva la manipolazione del respiro nel processo per ottenere la liberazione dal ciclo delle rincarnazioni (a base della religione induistica).
In parole povere, per gli induisti essere in grado di avere il controllo del proprio respiro, sia letteralmente che metaforicamente, significa avere il controllo su “se” e “come” rinascere.
Il Prāṇa
Il Prāṇa è considerato il Vāyu (il dio dei venti e del respiro) da cui sorgono gli altri vāyus. Prāṇa è quindi il nome generico per tutti movimenti respiratori (orientali) esistenti, inclusi i cinque principali vāyus quali: prāṇa, apāna, uḍāna, samāna e vyāna, noti nello yoga.
Secondo la filosofia indiana, il Prāṇa scorrerebbe nelle nadi, dei canali che nella medicina tradizionale indiana e nella conoscenza spirituale, collegherebbero tra loro il corpo fisico, il corpo sottile ed il corpo causale. Questi canali, inoltre, mettono in comunicazione anche i vari Chakra che insistono nel nostro corpo. Le tre nadi più importanti sono l’Ida, a sinistra, la Pingala, a destra, e la Sushumna, al centro. Quest’ultimo collega il I chakra all’ultimo, quello della corona, permettendo al Prāṇa di fluire in tutto il corpo sottile.
Nonostante l’estraneità di tali assunti alla nostra cultura, appare singolare che teorie risalenti a più di 3000 anni fa, gli induisti parlassero di nadi come veri e propri sistemi e/o apparati anatomici attuali. Nel corpo fisico, le nadi sono considerati canali che trasportano aria, acqua, sostanze nutritive, sangue e altri fluidi corporei e sono simili alle arterie, alle vene, ai capillari ed ai canali linfatici. Nel corpo sottile e in quello causale, le nadi sono, invece, canali per le cosiddette energie cosmiche, vitali, seminali, mentali, intellettuali, ecc. (descritte collettivamente come Prāṇa) e sono importanti per le sensazioni, la coscienza e l’Aura spirituale.
Quando la mente è agitata a causa delle nostre interazioni con il mondo, anche il corpo fisico segue la sua scia. Queste agitazioni causano violente fluttuazioni nel flusso del Prāṇa nelle nadi, portando agli stessi scompensi che appaiono nella medicina occidentale.
Taoismo
“Il vero respiro è il respiro più intimo,
di cui il respiro fisico è la sua ombra.”
Anthology on the Cultivation of Realization
Autore sconosciuto, Dinastia Ming (1368-1644)
In Cina, gli esercizi di respirazione risalgono ad un periodo molto antico.
Le discipline respiratorie taoiste tuttavia, non sono, come prāṇāyāma, esercizi preliminari o ausiliari alla meditazione per preparare lo yogin alla concentrazione spirituale ma, piuttosto, tecniche che realizzano effettivamente lo scopo dello yoga stesso: il prolungamento indefinito della vita corporea.
Lo scopo degli esercizi di respirazione è quello di cercare di tornare al tipo di respirazione sperimentato dall’embrione nell’utero, la cd “respirazione embrionale”; quando il cordone ombelicale è stato tagliato alla nascita, questo tipo di respirazione iniziale veniva sostituito dalla respirazione attraverso le narici. Durante la pratica, l’inspirazione e l’espirazione vengono mantenute il più silenziose possibile e il respiro viene trattenuto chiuso nel corpo – “inghiottito”, dicono alcuni testi – fino a quando non è intollerabile, quindi lo lasciano uscire dalla bocca.
I cinque soffi vitali
Al centro dello sforzo yogico del Daoismo c’è la teoria dei “cinque soffi vitali” situati nel cuore, nella milza, nei polmoni, nel fegato e nei reni; “soffi” che mantengono in funzione questi organi e senza i quali il corpo perisce. Queste vitalità hanno la loro fonte nel cervello, e quando convergono di nuovo nella testa in un unicum, si manifesta una luce dorata.
Questi organi sono a loro volta collegati con i cinque elementi essenziali:
- i polmoni all’elemento del metallo;
- il cuore all’elemento del fuoco;
- il fegato è il soffio vitale legato all’elemento del legno;
- lo stomaco a quello della terra;
- ed, infine, il basso ventre è il soffio vitale dell’elemento dell’acqua.
La respirazione nel taoismo è, altresì, segnata dai “nove respiri instabili” causati dalla rabbia, che alza il respiro, e dalla paura, che lo abbassa; c’è la gioia, che lo rallenta, ed il dolore, che lo disperde; poi c’è il freddo, che lo raccoglie, ed il calore, che lo disperde; abbiamo il terrore, che lo sgancia; il pensiero, che lo lega; e per ultimo, la fatica, che lo spreca.
Le arti marziali cinesi
Nel tàijíquán (noto come Tai Chi), l’esercizio aerobico è combinato con esercizi di respirazione per rafforzare i muscoli del diaframma, migliorare la postura e fare un uso migliore del Qi del corpo. Anche in questo caso, il Qi, traducibile in vapore, aria o respiro, è una forza vitale che permea ogni cosa. Il Qigong (letteralmente “coltivazione dell’energia vitale”) è un sistema di postura e movimento del corpo coordinati con la respirazione e la meditazione, utilizzato per migliorare la salute, la spiritualità e durante l’allenamento con le arti marziali.
CONCLUSIONI
Come abbiamo avuto modo di vedere, ed intuire, nel corso dei secoli il respiro è stato considerato la fonte dell’esistenza umana, e la respirazione non è una semplice attività automatica ma serve a migliorare la qualità della nostra vita. Certo, potrebbe sembrare che gli antichi avessero idee alquanto singolari sugli apparati cardiovascolari e respiratori, tuttavia, grazie allo yoga, allo studio della postura ed all’apprendimento delle tecniche respiratorie, l’apporto di ossigeno nei polmoni è sicuramente maggiore e migliore rispetto a chi non pratica affatto queste discipline. Basti pensare agli esercizi di rilassamento muscolare isometrico, e agli altri benefici che si possono trarre in caso di stress, ansia e panico.
Dopo questa carrellata ne saprete sicuramente di più e spero vi venga voglia di andare oltre…
Bye Bye
Bibliografia
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www.encyclopedia.com/environment/encyclopedias-almanacs-transcripts-and-maps/breath-and-breathing
https://en.wikipedia.org/wiki/Vayu
www.teologiaefilosofia.it/ruah/
https://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2010/012q04a1.html
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